Non tutti hanno bisogno di qualcuno che scriva al loro posto. Ma nessuno, neppure il narratore più esperto e grammaticalmente ferrato, può confezionare un prodotto impeccabile se al termine della stesura non si affida a un professionista per una rilettura attenta e per la correzione della bozza, in modo da eliminare refusi e imperfezioni e molto spesso per ricalibrare i contenuti e la loro disposizione.
Fare l’editor significa proprio questo: ricevere un testo altrui e rivederlo completamente, con quel distacco che consente di scovare gli errori (di grammatica, di forma, di logica se non addirittura di verità) ma anche – anzi soprattutto – di comprendere se e dove lo scritto perda di efficacia rispetto allo scopo che vuole ottenere, suggerendo i cambiamenti necessari. In un quarto di secolo passato a scrivere, posso assicurare che la maggior parte degli errori che ho commesso non si riferivano a cose che ignoravo o a distrazioni, bensì a cose che letteralmente non vedevo. Perché la mente di chi rivede un proprio scritto anticipa la lettura e spesso corregge automaticamente le imprecisioni: si percepisce quello che si crede di avere scritto e non quello che si è messo effettivamente nero su bianco. Lo sguardo esterno, quello appunto dell’editor, agisce invece senza vizio e scova le trappole. Oppure percepisce le incongruenze, così come i fattori che generano noia o confusione. Si tratta di molto di più di una prova di qualità, assomiglia semmai a una valorizzazione del potenziale inespresso.
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